lunedì, aprile 13, 2015

Due marmo di mattina, giornata sopraffina.

Non sono un pescatore mattutino. Sono allergico al suono della sveglia, anche il più melodioso, mi piace svegliarmi da solo, naturalmente, e, soprattutto, al mattino mi piace fare le cose con calma. Detesto dover già correre appena sveglio. Questo è il motivo per cui, quando gli amici mi propongono appuntamenti alle 7 sul fiume, normalmente declino, e, se voglio essere sull'acqua al cambio di luce, opto piuttosto per il tramonto.

Ma ogni regola o abitudine contempla sempre l'eccezione. Ed è così che sabato mattina, trovatomi sveglio nel mio letto alle 6, dopo essermi pigramente rivoltolato per una quindicina di minuti, prendo l'ardita decisione: stamattina vado a pescare.

Incredibilmente riesco a far tutto ed essere pronto per le 7, ancor più incredibilmente non dimentico niente, nemmeno gli scarponi da wading, nemmeno la canna. Particolari trascurabili, ma che, quando in riva al fiume, realizzi di averli lasciati casa (magari dopo esserti fatto un oretta di macchina) innescano inesorabilmente una litania di invocazioni alla trinità e a svariati santi del calendario, capace di precluderti per sempre le porte del paradiso...

Alle otto meno un quarto sono sul posto. La mia meta è un ampio torrente di fondovalle del Canavese, non ancora fiume del piano, non più scosceso corso d'acqua alpino. Veloci raschi, lunghe lame, pozze profonde ma non incassate.
Mi cambio rapidamente, nell'aria ancora frizzante del mattino, mentre il sole inizia a prendere colore sulla sponda opposta. Pochi passi e alle otto inizio i primi lanci.

Quando vai a pescare al mattino presto (ok le otto non è presto ma per me è già un bel traguardo) ti aspetti che i primi momenti debbano essere i più produttivi, così come al tramonto pensi che il momento migliore sia quando è ormai quasi buio. Beh molto spesso (quasi sempre nel mio caso) non è così.

Dopo anni passati a pescare le trote nei piccoli torrenti alpini, negli ultimi cinque anni mi sono sempre più orientato invece alla ricerca delle grosse trote di fondovalle, è ho imparato che questa pesca è completamente differente. Non più l'unica regola del mimetismo esasperato, dello strisciare carponi per non farsi vedere, per lanciare dal basso in piccole pozze o 'ravin', in cui le trotelle accorrono ad aggredire qualunque cosa cada in acqua (purché non si siano accorte prima dell'umana presenza). In fondovalle è tutt'altra cosa: spazi ampi, pesci quasi indifferenti alla presenza dell'uomo sulle sponde, forti dello spazio e della quantità d'acqua a disposizione. Abbondanza di cibo, che li rende selettivi e poco disposti a muoversi dal loro flusso di pastura: non hanno bisogno di inseguire il cibo, gli basta stare fermi in corrente e aspettare che sia questa a portarlo nel loro raggio di azione.

Risultato: centinaia di lanci a vuoto, decine di uscite a vuoto, spesso l'impressione di pescare in un deserto, la frustrazione, ma poi, di colpo, l'attacco e, se ti va bene e fai tutto giusto, la cattura che ti ripaga di ogni amarezza e di ogni sacrificio.

Recentemente ho visto, egregiamente sintetizzate su una maglietta, quattro regole auree di questa pesca. Primo: esserci, andare a pescare; e fino qui ci sono. Secondo: dove ci sono pesci; e anche qui ci siamo, non le vedo, tutto sembra deserto, ma so che in questo tratto ci sono bellissime trote. Terzo: pescare bene; qui si fa più difficile, ma sto facendo del mio meglio, il meglio che so fare. Quarto: avere culo; e qui c'è poco da fare... o ce l'hai o non ce l'hai, non c'è nulla che puoi fare, anche se scaramanticamente indossi il berrettino Carlsberg, che ti ha accompagnato in tutte le più belle catture.

Esploro a lungo, prima con i minnows, dove l'acqua è più calma e profonda, poi con i rotanti, più a monte dove l'acqua si fa più spumegginate e veloce, una lunga lama che in passato mi ha regalato quasi sempre qualche cattura e in cui, recentemente, ho slamato un bel pesce, ma questa volta nulla si muove.

Mi sposto più a monte, presso un'altra bellissima lunga spianata, difficile da pescare e che fa spesso diverse vittime tra gli artificiali della mia plano, in quanto è attraversata da lunghe formazioni di marna, che creano dei corridoi profondi, racchiusi tra pareti che arrivano fino poco sotto la superficie. Le mie prede stanno sul fondo di quei canali sommersi, ma è quasi impossibile far lavorare un'artificiale là sotto, senza poi piantarlo in una delle pareti di marna nascoste sotto la superficie.
Ci provo con una gomma piombata, e invariabilmente resta impigliata.

Così devo rompere e fermarmi per sostituire il finale. Ormai sono quasi le 10 e non ho ancora visto né sentito niente. Ma sto seguendo le prime tre regole, e posso solo sperare che la fortuna si accorga di me.

Monto uno dei miei minnow classici da 7 cm, misura che equivale quasi a un 9 cm commerciale, in quanto io tengo conto solo dell'effettiva lunghezza del corpo, senza comprendere nella misura anche gli anellini di testa e di coda. Mi sposto verso la parte alta della lama, dove il fondo si alza e l'acqua corre più veloce, in una vena centrale con un ampia zona di morta verso la sponda destra orografica, su cui mi trovo.

Eseguo qualche lancio facendo derivare il pesciolino in un'ampia curva, trattenuto in corrente dalla lenza, animandolo con piccole jerkate... ed è nella zona tra morta e corrente che arriva, improvviso, lo stop. Potrebbe anche essere il fondo, un sasso, non è un attacco violento. Ma appena sento l'arresto dell'artificiale alzo la canna d'istinto e mi risponde una bella testata. La presenza viva e vibrante dall'altro capo del filo. Questa volta non voglio farmi fregare e ferro nuovamente e poi ancora una volta, per essere ben sicuro di aver piantato bene almeno una punta nella dura cartilagine della bocca del pesce.

Il combattimento è intenso ma breve e una bella marmorata sui 50 cm o poco meno arriva a guadino. E' un bel maschio, selvaggio, sano, ben pinnato, dalla livrea appariscente e con la mascella che forma un rostro evidente.

La slamo con cura, me la godo per qualche attimo tra le mani, foto di rito e rilascio. Fila via indispettita con la velocità di un furetto. Non ha subito alcun danno.
Mi siedo soddisfatto a godermi l'attimo. Se fossi un fumatore questo sarebbe il momento di una sigaretta. Non resisto alla tentazione di condividere subito la cattura su Facebook, tech victim anche sul fiume...

Sono le 10 meno 10, in pochi attimi la giornata è girata, la quarta condizione, la botta di culo, mi ha baciato e sono appagato e soddisfatto.

Accarezzo per un attimo l'idea di tornarmene subito a casa a riposare, ma, per fortuna, decido di battere il ferro finché è caldo, ed arrivare fino a uno sbarramento poco più a monte, che crea un'ampia e profonda vasca in cui sono sicuro, DEVE esserci una big.

Continuo la risalita, senza trascurare il tratto di collegamento, si sa mai...
Circa un quarto d'ora e sono alla briglia. E' un basso sbarramento che attraversa tutta la larghezza del torrente, qui molto ampio, una 40ina di metri almeno, forse 50.
L'acqua fa un salto di un metro scarso, e sotto lo sbarramento si crea una vasca, estesa per tutta la larghezza del corso d'acqua, profonda sotto lo sbarramento e digradante verso valle, dove l'acqua riprende la sua corsa.

Ho ancora in canna il minnow da 7 cm che mi ha regalato la cattura precedente, e sondo con quello la parte bassa della buca, sperando di sorprendere qualche pinnuta in caccia, dove il fondo risale.
Poi decido di passare al gioco maschio e monto una della mie ultime creazioni lo Spirit 11 cm (anche in questo caso equivalente a un 12 o più commerciale), un artificiale ispirato ai grossi rapala Countdown, dal nuoto non particolarmente vivace, ma, spero, adescante.

Voglio andare giù e opto per un 26 grammi in livrea rainbow. La livrea è piuttosto grezza per la verità, ma le livree ultra raffinate e realistiche servono più per adescare i pescatori che i pesci, è un piacere realizzarle e vederle, ma, a mio modesto parere, non aumentano la reale efficacia dell'artificiale, che, sempre a mio modesto parere, è condizionata soprattutto da due cruciali elementi: come si muove e come viene presentato.
L'idea che potrei usare un'altro artificiale, di qualche marchio prestigioso, forse più adescante, non mi sfiora neppure: i pesci li devo prendere con gli artificiali che faccio io! Stop.

La presentazione dicevo, la presentazione è determinante. Con questo bel pescione voglio sondare la parte più profonda della vasca, dalla zona centrale alla schiuma sotto lo sbarramento, ma un pesce che nuota con la testa verso valle non sarebbe naturale per niente, quindi arrampicandomi sui sassi della sponda mi sposto a monte dello sbarramento, e inizio a lanciare in mezzo alla buca, recuperando lentamente, con brevi jerkate per far spanciare l'artificiale, in diagonale e quanto più riesco verso monte.

Dopo qualche passaggio il minnow si blocca nel mezzo di una jerkata, escludendo che qualche sub burlone di passaggio ci abbia attaccato un ferro da stiro, nel dubbio ferro... e capisco subito che stavolta c'è qualcosa di importante li sotto.

Riferro le altre due volte (ormai di prassi) e inizio a pompare, forte del trecciato da 15 lb e del finale generoso (ormai sono arrivato allo 0,45, l'ultima cosa che voglio è lasciare un grosso minnow in bocca a una bella trota).
Lei punta il fondo, cerca di andarsi a impiantare nelle tane che sicuramente ci sono alla base dello sbarramento. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarla fare. La mia 7' Orvis by Avico è piegata a semicerchio e la sento flettere fino al tallone, ma so che non mi tradirà.

In breve la porto in superficie a lottare nella schiuma. Tenta ancora di buttarsi sotto il salto per sfruttare la spinta dell'acqua che cade.
Devo spostarmi, anche perché da qui sono circa un metro più alto della superficie, e non posso certo pensare di sollevarla di peso.
Inizio a spostarmi, facendo attenzione di non perdere l'equilibrio sui sassi scivolosi e di mantenere sempre la tensione. Non devo lasciarle margini, non devo fare errori.
Sono attimi brevi ed eterni, concitati e dilatati nel tempo.

Finalmente arrivo a valle della buca e riesco a portare sua maestà sul bagnasciuga. Regina è davvero la parola adatta. Una marmorata di buona purezza ancorché con una livrea meno appariscente della precedente, ma il disegno dell'opercolo e la forma della testa non lasciano spazio a dubbi. Una vera regina!
Una sola punta dell'ancorina n.2 è piantata nella cartilagine del labbro superiore, ma è ben infissa.
La slamo con cautela e la osservo con ammirazione. E' un pesce sanissimo, splendidamente pinnato, una femmina direi, ma non ne sono sicuro. Il più velocemente possibile scatto le foto di rito e la misuro. Siamo oltre i 60 cm, 62/63 cm più centimetro meno, non è quello che conta. E' una regina che resterà nella mia memoria per sempre, come questi attimi meravigliosi.

La lascio risposare qualche istante nel guadino e infine provvedo a liberarla, cercando anche di filmare il rilascio. Le riprese risulteranno un po' traballanti, ma l'importante è che lei invece riguadagna le profondità della buca con potenti e decisi colpi di coda. Anche lei riparte come un treno, in forma perfetta.

Lei riacquista la libertà, presumo con sollievo e incredulità per lo scampato pericolo, e con un'esperienza in più che la renderà sempre più astuta e difficile da fregare.
Io riguadagno la strada di casa, con mille fringuelli che mi cantano in petto.